Giuseppe Palazzolo
Di profilo e di scorcio
Alessandro Manzoni era stato osservato «di profilo e di scorcio» da Natalia Ginzburg, autrice di un ritratto dello scrittore «confuso nel polverio della vita quotidiana». Nello stesso anno – il 1983 – anche Mario Pomilio rivolgeva la propria attenzione all’uomo dissestato dai lutti familiari nel Natale del 1833. Accanto a loro altri scrittori del secondo Novecento abbracciano don Lisander con uno sguardo empatico o diffidente, obliquo o viscerale, liberandolo dalle incrostazioni scolastiche e da riduttive formule critiche. Così Manzoni si fa romanzo. Riguadagna carne e sangue, e viene colto nella viva contraddizione di uomo smarrito tra due secoli; di marito appassionato che guarda con sospetto al traviamento delle passioni; di figlio privato dell’accudimento paterno e che da padre a sua volta sperimenta l’inadeguatezza, l’incomprensione, il fallimento; di credente ‘terribilmente’ visitato da Dio, assediato dalla domanda pascaliana sul Dieu caché. Da un concertato di voci talvolta dissonanti, si compone una polifonia che restituisce al lettore l’irriducibile garbuglio di un autore inquieto.